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Quando la solidarietà di classe diventa reato
Esprimiamo solidarietà ai dieci compagni e alla compagna condannati a due anni dal tribunale dell’Aquila il 16 novembre per aver lanciato slogans durante la manifestazione che si svolse nella stessa città nel 2007, manifestazione che faceva parte di un percorso di lotta più ampio contro l’isolamento carcerario ed il 41 bis che dal 2002 ha iniziato ad essere applicato anche ai prigionieri rivoluzionari.
Nei giorni successivi, la procura aquilana aveva aperto due procedimenti per un totale di 24 denunce, differenziando i compagni non solo per le imputazioni ma anche implicitamente in base alla loro appartenenza politica: uno è questo che si appena concluso, il secondo è ancora in corso (prossima udienza il 22 dicembre). Il tentativo è dividere in sede legale le diverse componenti radicali che si muovono unite sulla solidarietà e contro il carcere perché consapevoli di dover fronteggiare un nemico comune. Parallelamente a quello che succede nelle sezioni AS2 create per i prigionieri accusati di reati politici dove è prevista la loro separazione in base alla idea politica che lo Stato attribuisce loro (ad Alessandria gli anarchici, a Carinola, Siano e Latina i comunisti, a Macomer e Benevento gli islamici), anche in questo caso la divisione di comunisti e anarchici in due tronconi ha il fine di incrinare la forza che solo uniti possiamo avere.
Infatti nella mobilitazione dell’Aquila e più in generale contro il 41 bis, si erano riconosciute le diverse componenti del movimento che vedono il 41 bis come la punta più avanzata del sistema carcerario, non quindi come una sua misura eccezionale, ma una sua semplice conseguenza, che individuano la lotta al carcere come parte di uno scontro più generale contro questo sistema economico e sociale che per sopravvivere ha sempre più bisogno di ordine e disciplina, anche preventiva, e che credono che la solidarietà sia componente essenziale di un movimento rivoluzionario.
Il tribunale dell’Aquila ha voluto condannare i compagni per tutto questo ed in modo esemplare. La sentenza infatti vuole punire non tanto i reati di cui sono accusati (chi si ricorda di condanne del genere che avessero come pretesto slogans durante cortei?), ma piuttosto quel percorso di solidarietà nei confronti dei prigionieri che lo Stato vorrebbe seppellire dentro al 41 bis e a tutti i regimi speciali, nel tentativo di nascondere e far dimenticare loro e le loro pratiche. È un percorso che, mettendo in discussione la forma repressiva più violenta, vuole gettare le basi per una critica radicale di tutto l’impianto su cui si basa la detenzione.
E anche se è vero che l’inasprimento delle pene è condizionato da una situazione socialmente ed economicamente sfavorevole, altrettanto vero è che dietro a questo inasprimento c’è la volontà di perseguire ciò che lo Stato considera pericoloso ma anche efficace, e quindi da isolare ed annientare. Ma non potendo ancora perseguire la semplice manifestazione del pensiero, la soluzione è ovvia: incriminare le persone e i gesti che vengono individuati e definiti come i portatori di quel pensiero.
Nei fatti, queste condanne significano che di carcere duro in Italia, se non in termini umanitari e caritatevoli, tipici dei partiti e delle associazioni di sinistra, non si deve parlare, che contro il carcere come strumento funzionale al mantenimento dell’ordine dato e come luogo di contenimento delle contraddizioni di una società in piena crisi sociale ed economica non si può manifestare, che con i prigionieri rivoluzionari non si deve essere solidali, nemmeno a parole.
Contro le democrazie che ci vogliono fermi e muti!
Al fianco dei prigionieri rivoluzionari!
Assemblea contro il carcere e la repressione
assembleacontrolarepressione@gmail.com