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GIRP 2011 Collettivo Comunisti Prigionieri “Aurora”
Celebriamo la Giornata Internazionale del Rivoluzionario Prigioniero all’insegna dell’antiimperialismo, al fianco delle masse arabe in rivolta contro i bomabardamenti sul popolo libico ! ! Ci troviamo oggi a scrivere questo nostro contributo per la GIRP 2011 proprio quando è in corso una guerra di aggressione imperialista contro il popolo libico che vede tra i principali protagonisti l’imperialismo italiano.
Celebriamo la Giornata Internazionale del Rivoluzionario Prigioniero all’insegna dell’antiimperialismo, al fianco delle masse arabe in rivolta contro i bomabardamenti sul popolo libico ! !
Ci troviamo oggi a scrivere questo nostro contributo per la GIRP 2011 proprio quando è in corso una guerra di aggressione imperialista contro il popolo libico che vede tra i principali protagonisti l’imperialismo italiano.
Quest’ultimo ha costruito il proprio ruolo imperialista a livello mondiale salendo sul carro armato degli U.S.A. in ogni conflitto, dalla ex Jugoslavia, all’Iraq, all’Afghanistan. Ma oggi si trova impegnato in prima persona e con un ruolo di assoluto primo piano nell’aggressione alla Libia per riconfermare e ribadire che è di sua competenza lo sfruttamento delle enormi risorse petrolifere di quel paese.
La borghesia imperialista italiana è stata “costretta” a questa impresa dal protagonismo imperialista degli U.S.A., della Gran Bretagna e, soprattutto, della Francia, che usando strumentalmente la rivolta popolare contro Gheddafi, fino ad asservirne la testa rappresentata dal CNT (Consiglio Nazionale Transitorio), intendano strapparle l’osso di bocca.
L’osso libico è un osso appetitoso, costituito da enormi riserve di petrolio di ottima qualità ancora da sfruttare e per questo sta attirando molti stati presenti nelle file della N.A.T.O. nell’opera di distruzione della Libia in vista di una futura spartizione.
A questo si aggiunge, per l’imperialismo francese, l’occasione di ribadire e puntellare la sua zona di influenza in Africa messa in discussione dalla politica di autonomia economico-finanziaria africana promossa dal regime libico.
Il ruolo dell’imperialismo italiano, invece, è quello di difendere, dalla picchiata degli avvoltoi imperialisti, quella posizione di primo partner commerciale che deteneva con la Libia prima dello scoppio del conflitto. Una posizione che può difendere solo contribuendo alla devastazione, all’assassinio indiscriminato e al saccheggio.
Lasciamo agli ipocriti il fatto di voler credere che gli imperialisti stiano davvero bombardando la Libia per difendere chi si è ribellato a Gheddafi.
E’ proprio a causa della fitta rete di rapporti economici tessuta prima da Prodi e conclusa da Berlusconi, con Gheddafi per lo sfruttamento delle risorse libiche e per l’investimento di capitali italiani in infrastrutture, che abbiamo assistito, nei primi momenti dell’aggressione, ai tentennamenti della fazione imperialista berlusconiana oggi al governo.
Tentennamenti che non ci sono stati invece per la fazione imperialista all’opposizione rappresentata dal Partito Democratico che, smaniosa di dimostrare la sua maggiore lungimiranza e affidabilità nel tutelare gli interessi strategici italiani nell’alveo degli interessi occidentali, per candidarsi così alla futura guida del paese, non ha minimamente esitato nel chiedere fin da subito l’intervento immediato contro Gheddafi, allineandosi fino in fondo alla gestione strumentale della difesa degli insorti.
A far da cornice a questo quadretto grondante sangue, non si poteva trovare di meglio che la triplice sindacale, Cgil, Cisl, Uil, che, in controtendenza alle divisioni che le hanno contrapposte negli ultimi mesi, si è trovata unita, invece, a celebrare il 1° Maggio all’insegna dell’unità d’Italia in perfetto stile sciovinista che innalza i valori della patria proprio quando il governo decideva di partecipare fattivamente ai bombardamenti della Libia.
In questo contesto diviene compito principale di ogni comunista, di ogni rivoluzionario, di ogni sincero antimperialista opporsi con ogni mezzo al proprio imperialismo per fermare i bombardamenti sul popolo libico e smascherare quelle false opposizioni che tacciono di fronte a questa barbara aggressione.
Nel fare questo dobbiamo anche tenere presente che le possibilità di vittoria contro l’imperialismo, nel contesto libico, sono limitate alla presenza di un regime che avendo governato in modo autocratico nel recente passato non è in grado per questo di unire le masse e portarle alla vittoria. Per dirla con i compagni del Partito Comunista Indiano (maoista): “Solo quei governanti che soddisfano le aspirazioni democratiche del popolo e che a lui si uniscono per opporsi inequivocabilmente all’imperialismo, possono difendere e preservare la sovranità dei loro paesi. Qualsiasi governante, sia esso Gheddafi o chiunque altro, che ricorra ad un dominio autocratico sul suo popolo, non potrà mai combattere l’imperialismo incondizionatamente. Non potrà mai unire il popolo contro l’imperialismo” Comunicato Stampa del C.C. del 31 marzo 2011.
Una considerazione, questa, che i comunisti devono tenere ben presente, ma che assolutamente non deve costituire motivo di disimpegno o di attenuazione da un deciso, aperto e risoluto schieramento nel campo delle forze che oggi, in quella particolare situazione specifica, combattono e resistono all’attacco imperialista.
Questa nuova guerra di rapina si inserisce nel più generale contesto della crisi economica dei vecchi paesi imperialisti (USA – UE – Giappone) che si è manifestata nel crack finanziario del 2007 e che dagli USA si è propagata in tutto il mondo. Per attenuarne gli effetti e salvare così i colossi finanziari “troppo grandi per fallire” che l’hanno provocata, gli stati hanno fatto esplodere il proprio debito pubblico ad un livello fino ad ora sconosciuto. Il loro risanamento impone enormi sacrifici ai lavoratori e alle masse popolari, quando non si assista addirittura al rischio di totale fallimento dei paesi capitalisti più deboli come stiamo vedendo in Grecia.
È questo il modo che i pescecani dell’economia adottano per scaricare i costi della crisi, provocata dal loro stesso sistema capitalista in putrefazione, sulle masse popolari.
La via d’uscita dalla crisi che i vari capitalismi perseguono, rappresentata dalla forsennata ricerca di maggiori soglie di sfruttamento, di controllo delle fonti di materie prime e dei mercati internazionali, non fa che acuire tutte le contraddizioni.
Quella tra i vecchi imperialismi e tra questi e quelli nuovi (i cosiddetti BRIC), che fa intravedere all’orizzonte le avvisaglie di un novo conflitto mondiale interimperialista, supportate da una nuova rincorsa agli armamenti.
Quella tra imperialismo e paesi oppressi che, sotto gli occhi di tutti, è la contraddizione principale di questa fase e che oggi si manifesta sia con le guerre di aggressione (Iraq, Afghanistan, Libia), ma soprattutto nella nuova forma delle rivolte a carattere democratico - borghese nella stragrande maggioranza dei paesi arabi. Rivolte che hanno il principale aspetto positivo di mostrare il protagonismo delle masse arabe che con determinazione e a costo di centinaia di vite umane puntano a scalzare le marionette che per decenni hanno svenduto i loro paesi all’imperialismo.
Queste rivolte rappresentano sicuramente una prima vittoria perché hanno messo in moto le grandi masse arabe, tra cui spicca la disponibilità e la potenzialità rivoluzionaria delle centinaia di migliaia di giovani che hanno fatto saltare la cappa di piombo dei regimi. Ma sono solo l’inizio di processi che si annunciano lunghi e combattivi, i cui esiti non sono per nulla scontati. La cacciata di Mubarak e Ben Ali non ha ancora intaccato seriamente i regimi, tanto più che, molto pericolosamente, sono ora gli eserciti i depositari del potere. Mentre le rivolte che continuano nello Yemen, Bahrein, Siria, Giordania, ecc. non hanno ottenuto nemmeno questo primo risultato.
In ogni caso, queste esplosioni di massa rappresentano uno stimolo e un esempio positivo per la lotta antimperialista in tutto il mondo e con la loro lotta per la democrazia e la libertà creano inoltre un contesto favorevole al riemergere di organizzazioni e partiti comunisti come già si comincia ad intravedere. Cosa, questa, della massima importanza in quanto crediamo che in queste rivolte sussistano principalmente due fattori di debolezza che le rendono esposte al compromesso e agli intrighi dell’imperialismo, come successo in Libia, e precisamente:
1) La relativa fragilità di partiti comunisti e forze rivoluzionarie dopo decenni di terribili repressioni, ma all’apparenza le rivolte rinvigoriscono già queste forze, proprio perché le si riconosce come le uniche ostili al compromesso con l’imperialismo e perciò in grado di portare a fondo la stessa rivoluzione democratica;
2) Il fatto che queste rivolte non abbiano una guida chiara, completamente sganciata dai regimi e dalle lunghe catene dell’imperialismo, e cioè una direzione politico-ideologica-militare rivoluzionaria, sia pure essa di carattere democratico-borghese.
Ed infine, in tutto il mondo, si acuisce anche la contraddizione tra capitale e lavoro, la contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico, che vede la generalizzazione dell’attacco alle conquiste storiche della classe operaia e delle masse popolari in termini di salario, orario, destrutturazione del mercato del lavoro, di stato sociale, istruzione, previdenza, sanità, ecc.
Un attacco comune in forme pressoché identiche in tutti i paesi imperialisti, contro cui si assiste sempre più spesso al risollevarsi della mobilitazione di operai, proletari, giovani e studenti, spesso anche con forme di violenza e contenuti proletari che propongono livelli di antagonismo al capitale e a tutto il suo sistema.
Così sta accadendo in questi giorni in Grecia dove da tempo le masse si stanno mobilitando contro il proprio governo e gli istituti finanziari europei che hanno imposto tutta una serie di misure di pesante austerità e che stanno conducendo al totale crollo di quel paese. Così anche in Spagna dove da giorni sono scesi in piazza migliaia di giovani contro la crisi, le misure antipopolari del governo e la disoccupazione che tocca gli apici in tutta Europa.
Nello specifico del nostro paese, nonostante l’arretratezza delle forze rivoluzionarie e l’incalzante opera dei riformisti che puntano a calmare gli animi e a non far esplodere le contraddizioni invocando il rispetto della legalità borghese, la classe operaia, il proletariato e quei settori di piccola borghesia più colpiti dalla crisi, trovano sempre più spesso il modo di esprimere la propria rabbia scendendo sul terreno della lotta.
Abbiamo visto il livello della lotta raggiunto dagli studenti contro la riforma Gelmini, dalla lotta degli immigrati contro CIE e CPT e il ricatto lavoro/permesso di soggiorno, dalle lotte del popolo sardo strozzato dalla crisi e dal fisco, dalla lotta delle popolazioni che resistono al deturpamento e allo sfruttamento sempre più barbaro del territorio.
Abbiamo visto quale livello di scontro la Fiat, con al seguito l’intera Confindustria, intenda sostenere contro la classe operaia che oggi si trova disarmata e spesso costretta alla resa grazie all’inconcludente linea dei riformisti. Uno scontro che non solo persegue, con il modello “fabbrica Italia”, il recupero di maggiori soglie di produttività e di sfruttamento della forza lavoro attraverso il massimo utilizzo possibile degli impianti, ma che intende segnare il passo anche nella repressione del dissenso interno alla fabbrica.
Per far questo punta a soffocare ogni conflitto, compresi quelli finora ammessi di stampo riformista (vedi FIOM), attaccando frontalmente il diritto di sciopero e ad estromettere dalle fabbriche ogni sorta di rappresentanza operaia che non sia compatibile e non si prostri di fronte all’altare del dio profitto.
Insomma, se ieri la borghesia usava la tattica del “bastone e della carota” per controllare e rendere inoffensiva la classe operaia oggi invece opta per la carta della repressione e basta, segnando così un nuovo livello nello scontro di classe.
Tutta una situazione di scontro politico-sociale che potrà trovare il suo naturale sbocco solo quando il proletariato e la classe operaia riusciranno ad emanciparsi dalle quinte colonne dei capitalisti rappresentate da sindacati e partiti venduti all’interesse dei padroni e si costituirà al loro interno lo strumento per l’attacco al potere capitalista rappresentato dal Partito Comunista costruito nell’unità politico-militare, in condizione perciò di rilanciare il processo rivoluzionario. Processo rivoluzionario che, rompendo il cordone ombelicale con il sistema capitalistico e il suo apparato politico-istituzionale, ponga concretamente l’obiettivo del suo rovesciamento storico.
In questa prospettiva crediamo ci siano da trarre esempi e spunti molto significativi, oltre che dalla storia del movimento rivoluzionario del nostro paese, anche da ciò che costituisce oggi la punta avanzata del movimento rivoluzionario internazionale rappresentata dalla Guerra Popolare Prolungata (GPP) in corso in alcuni paesi del Tricontinente diretta da partiti comunisti maoisti. In particolare la GPP in corso in India diretta dal PCI (maoista), non solo per i livelli raggiunti, ma anche perché si sta svolgendo in uno di quei paesi capitalisti emergenti che sta muovendo i primi passi come nuova potenza imperialista nello scacchiere mondiale.
Tutte queste contraddizioni, rese più acute dalla crisi economica, spingono l’imperialismo ad essere più aggressivo e violento sia sul fronte esterno, con le guerre di aggressione e di rapina, sia su quello interno, con la repressione diretta delle lotte e l’incarcerazione di avanguardie di classe e di rivoluzionari comunisti e anarchici, come ampiamente evidenziato anche dal susseguirsi sempre più incessante di inchieste, retate, di imposizione di misure cautelari e arresti degli ultimi mesi.
Una recrudescenza repressiva che va assunta come fattore fisiologico dello scontro, come parte di quella lotta che per determinazione e modalità entra in rottura con il modello sociale borghese.
Per far fronte all’antimperialismo che va dispiegandosi in ogni parte del mondo e che fa rilevare quanto l’imperialismo, oggi, sia divenuto il principale nemico di ogni popolo, uno dei modi che gli USA e il suo lungo codazzo di servitori stanno usando è quello di disseminare il mondo di carceri legali e illegali in cui rinchiudere i loro oppositori.
Come Collettivo Comunisti Prigionieri “Aurora”, dall’interno delle carceri di uno dei paesi imperialisti protagonisti in tutti gli scenari di guerra, vogliamo rivendicare il nostro contributo nel tenere alta la bandiera della lotta per il comunismo e la nostra vicinanza e unione a tutti i prigionieri nel mondo in lotta contro l’imperialismo, sull’onda dell’eroica resistenza dei 300 prigionieri comunisti peruviani brutalmente massacrati nel 1986.
È grazie a loro se oggi tutti i rivoluzionari prigionieri del mondo possono trovare un forte momento di unità nel celebrare questa importante giornata. Importante perché in essa si ribadiscono tutti i contenuti di guerra e di nemicità che oppongono i popoli e il proletariato mondiali all’imperialismo.
Vogliamo inoltre ribadire con forza la nostra collocazione di classe schierata apertamente a sostegno del popolo libico e della sua resistenza ai bombardamenti dell’imperialismo; a sostegno delle masse arabe in rivolta contro le marionette dell’imperialismo, nella misura in cui non si rendono strumento dell’imperialismo stesso nelle sue manovre per reimpostare il suo dominio; a sostegno di tutte le GPP in corso nel Tricontinente che hanno l’immenso valore in questa fase di dare l’esempio e di tenere viva nel concreto la via della rivoluzione proletaria per la conquista del potere; ed infine a sostegno di tutti coloro che nelle metropoli dell’imperialismo si oppongono al fatto che sulla loro pelle si scarichino i costi della crisi, auspicando il più immediato ricomporsi delle file della rivoluzione in Partiti Comunisti ricostruiti in funzione della presa del potere seguendo ed applicando la strategia universale della GPP.
Viva la Giornata Internazionale del Rivoluzionario Prigioniero!
Morte all’imperialismo e ai suoi servi, libertà ai popoli!
Al fianco della resistenza popolare libica e delle rivolte arabe!
Per la rivoluzione!
Per il comunismo!
Collettivo Comunisti Prigionieri “Aurora”
Maggio 2011
Bortolato Davide
Davanzo Alfredo
Latino Claudio
Toschi Massimiliano
Sisi Vincenzo
Integriamo questa nostra dichiarazione in seguito alla morte del compagno Luigi, il giorno 23 maggio.
Luigi Fallico era un compagno che ormai da tempo faceva parte della sezione speciale di Siano.
La sua è una morte da carcere: negligenza e abbandono sanitari, scientemente perseguiti, producono omicidi. Purtroppo è la sorte di tanti prigionieri.
Nel suo caso si assomma la predisposizione dello Stato ad eliminare i suoi oppositori.
Sappiamo che è guerra di classe, e come tale cerchiamo di affrontarla. Luigi si trovava qui per queste ragioni, avendo militato anch’egli per la Rivoluzione.
Gli rendiamo onore e memoria.
Onore al compagno Luigi
Collettivo Comunisti Prigionieri “Aurora”