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Italia Lettera aperta agli organismi contro il carcere
Lettera aperta agli organismi di lotta contro il carcere, la repressione e e di solidarietà ai prigionieri rivoluzionari In questo periodo si stanno svolgendo in diverse città d’Italia delle iniziative sulla questione dei prigionieri baschi, organizzate dai vari gruppi e comitati che da anni si occupano della solidarietà al Paese basco con la partecipazione di tre ex prigionieri e a cui siamo stati invitati.
Per tale ragione ci sentiamo di prendere la parola, anche perché questo è il terreno della nostra militanza e vogliamo dare un contributo al dibattito. Lo facciamo prima di tutto fornendo dei dati informativi e poi proponendo alcune nostre riflessioni.
La situazione nel Paese Basco
Nel Paese Basco, la sinistra indipendentista, in questi ultimi anni, ha sviluppato un dibattito per ridefinire la linea politica e la strategia da adottare nella fase attuale. Questo dibattito si è reso concreto, dal 2009 a oggi, in una serie di conferenze, assemblee, dichiarazioni e documenti che rappresentano una vera e propria svolta. Uno dei passi determinanti, che hanno ridefinito le linee guida della sinistra indipendentista è stato sancito dall’“Accordo di Gernika” (Gernika è la città basca dove si è tenuta questa conferenza”). Il 25/9/2010 a Gernika, 30 organizzazioni politiche, sindacali e sociali hanno elaborato un progetto politico “Per uno scenario di pace e di dialogo”. Punti cardine di questo nuovo progetto sono:
1- Superare il conflitto armato e configurare uno scenario di non violenza.
2- Utilizzare esclusivamente mezzi democratici e pacifici per risolvere questioni politiche.
3- Arrivare attraverso il dialogo e soluzioni democratiche a un processo che porti al riconoscimento dei diritti civili e politici del popolo basco.
4- L’Eta deve dichiarare una tregua permanente come atto di disponibilità per un definitivo abbandono della sua attività armata.
In cambio lo Stato spagnolo dovrebbe alleggerire le condizioni detentive dei prigionieri baschi come primo passo del cammino verso l’amnistia. In una successiva dichiarazione, del novembre 2010, la sinistra indipendentista scrive: “Un nuovo progetto politico e organizzativo impegnato nel raggiungimento di uno scenario di pace e di rispetto di tutti i diritti, e implicato nel promuovere un processo di dialogo e negoziazione verso un accordo politico che risolva integralmente il conflitto, porti a casa tutti/e i/le prigionieri/e e gli esiliati, e instauri un ambito di normalizzazione politica e democratica”. Sempre nel 2010 si attua un altro importante passaggio: esponenti politici internazionali, protagonisti, nel recente passato, delle politiche di pacificazione imperialista in Irlanda del Nord e in Sudafrica, producono un appello, “La dichiarazione di Bruxelles”, nella quale esprimono grande apprezzamento per le scelte del movimento basco di conseguire i propri obiettivi attraverso una totale assenza di violenza e chiedono a Eta di abbandonare l’attività armata. Tra i firmatari l’appello ci sono, tra gli altri, l’inglese J. Powell, che era stato capo gabinetto del governo di Tony Blair, vari esponenti del governo irlandese protagonisti degli “Accordi di pace” del 1988 in Irlanda del Nord, l’ex presidente sudafricano durante l’apartheid, De Klerk, e finanche un alto funzionario dell’Interpol. Il “pedigree” di questi personaggi e i contenuti della dichiarazione, la dicono lunga sul loro interesse a neutralizzare e incanalare il conflitto basco in ambiti compatibili.
Nel gennaio 2010 Eta rilascia un comunicato nel quale cita in senso positivo, sia l’”Accordo di Gernika” sia la “Dichiarazione di Bruxelles”, dichiarando il “Cessate il fuoco permanente, generale e verificabile” e si riconosce nella proposta della sinistra indipendentista di intraprendere un cammino verso una risoluzione democratica del conflitto.
A ottobre 2011, ad Aiete a San Sebastian nel Paese Basco, si svolge la “Conferenza internazionale per promuovere la risoluzione del conflitto nel paese basco” organizzata da movimenti pacifisti con l’adesione di esponenti internazionali come J. Powell, Kofi Annan, Gerry Adams del Sinn Fein, il partito protagonista degli accordi di pace per il Nord Irlanda. Questa conferenza si conclude con la “Dichiarazione di Aiete” nella quale il punto principale è la richiesta ad Eta di annunciare la fine della lotta armata e agli Stati spagnolo e francese di avviare un dialogo con i movimenti baschi.
Questa dichiarazione incassa l’appoggio sia della sinistra indipendentista sia di Eta che il 20 ottobre 2011 dichiara pubblicamente la cessazione dell’attività armata, affermando l’importanza della Conferenza di Aiete. Nel novembre 2011, con un altro comunicato dichiara la sua disponibilità a consegnare le armi.
Nel gennaio 2012, il collettivo dei prigionieri baschi (EPPK) scrive un documento nel quale dà pieno appoggio alla sinistra indipendentista basca e alla sua svolta politica, lanciando la proposta di amnistia e dichiarano che “Il collettivo è disposto, come ha dimostrato con le ultime iniziative, a fare passi in avanti per offrire un contributo positivo al processo democratico avviato in Euskal Herria”.
Alcune considerazioni
Abbiamo voluto, innanzitutto, descrivere brevemente alcuni degli eventi salienti che hanno caratterizzato la realtà attuale del Paese Basco perché pensiamo che in Italia ci sia carenza d’informazione/dibattito al riguardo e, spesso, sulla mancanza di informazione è facile generare confusione che è dannosa per lo sviluppo della discussione e della pratica politica. Ovviamente è il popolo basco, le sue organizzazioni, i suoi prigionieri che decidono il proprio percorso, noi, da qui, non abbiamo certo la presunzione e la legittimità di dare indicazioni. Però, ci preme far comprendere il fatto che, in questo preciso momento storico, e mai come ora, è tempo di lottare e non può esserci d’aiuto una mobilitazione che pone al centro il tema “E’ ora di soluzioni”. La crisi del sistema capitalista nella sua fase imperialista è precipitata, la Grecia brucia, le masse del Nord Africa sono in movimento e soffiano fortei venti di guerra, in Spagna e in Italia (come in altri paesi europei) si stanno opponendo alle misure di lacrime e sangue imposte dai padroni e dai loro Stati. In questa situazione chiunque lotti contro i disegni del capitale al di fuori delle compatibilità della democrazia borghese è colpito dalla repressione e molti finiscono in carcere.
C’è, dunque, una forte necessità di affrontare, più di ieri, lo sviluppo di una mobilitazione contro il carcere e a sostegno dei compagni che vi vengono rinchiusi e di quelli che resistono dietro le sbarre da decenni. Ciò è intimamente collegato e si riflette sulla condizione dei prigionieri, parte integrante ed espressione viva della lotta stessa.
D’altra parte la borghesia e tutti gli stati imperialisti, in tutto il mondo, si trovano a scontrarsi con la lotta di classe, i movimenti rivoluzionari, i movimenti di liberazione nazionale. E, ovviamente, hanno interesse a impedire che il proletariato e le masse si sollevino e ancor di più che si incanalino verso una prospettiva rivoluzionaria. Attuano per questo, nella logica della controrivoluzione preventiva, diversi disegni con lo schema o, di ricomprendere nel loro sistema democratico le istanze di protesta e di cambiamento o, di passare all’annientamento. Lo schema applicato dalla borghesia non è nuovo ed è internazionale. Viene applicato, non solo da oggi, sia con le organizzazioni rivoluzionarie che con i movimenti di lotta. Abbiamo in Italia l’esempio recente dell’attacco repressivo alla lotta della Valsusa mirante ad ammansire il movimento isolando e criminalizzando i “violenti”.
I “fatti” sul Paese basco che sopra abbiamo descritto basterebbero da soli a dimostrare che non offrono nessun aspetto positivo per rafforzare e rilanciare la lotta qui ed ora. Questo perché, oggi, per difendere chi sta in carcere e combattere questa istituzione totale abbiamo bisogno di chiarezza, determinazione ed entusiasmo che non ci può venire da quel contesto e da quelle proposte politiche.
Ci teniamo, inoltre, all’interno del dibattito attorno a questo tema, a fare delle riflessioni che cerchino anche di riannodare un po’ il filo della memoria storica.
In Italia, in Germania, nei paesi sudamericani, come in altre parti del mondo, in particolare in alcuni paesi dagli anni 70 in poi, gli stati borghesi hanno sviluppato una repressione sempre più feroce alla quale hanno affiancato politiche riformiste e revisioniste che hanno indebolito i movimenti rivoluzionari.
In tanti paesi, ieri come oggi, ci sono prigionieri politici. Naturalmente ci sono delle differenze tra le situazioni sociali e politiche dei vari paesi. Ma una cosa accomuna quello che sta avvenendo nel Paese Basco con la realtà degli altri paesi: lo stato borghese adotta lo schema della divisione e del ricatto e punta a concedere migliori condizioni carcerarie, fino ad arrivare a liberare i prigionieri politici, solo se questi abiurano la lotta rivoluzionaria. Questo è già successo in diversi paesi come l'Italia, l'Irlanda del Nord, il Perù, l'Uruguay, solo per citarne alcuni.
Lo Stato spagnolo ha da sempre adottato nei confronti dei prigionieri baschi una politica durissima fatta di assassinii, torture, pestaggi, isolamento e dispersione. È un dato oggettivo, se guardiamo la nuova situazione venutasi a creare, che lo Stato sta puntando ad ottenere una vittoria nel tentativo di risolvere a suo vantaggio un conflitto che ha rappresentato per anni e anni un'enorme spina nel suo fianco. E, il fatto che lo Stato spagnolo sia stato, finora, avaro nell'elargire “concessioni” al movimento basco e ai prigionieri va interpretato nel senso che ha agito con l’ottica che con una condotta dura si possano ottenere cedimenti maggiori. Per di più, può utilizzare questa situazione per tentare di disgregare anche la resistenza dei prigionieri del PCE(r) (Partito Comunista di Spagna- ricostituito) e dei G.R.A.P.O. (Gruppi di Resistenza Antifascista Primo Ottobre). Infatti, alcuni funzionari governativi hanno fatto visita in carcere ad alcuni militanti di queste organizzazioni per sapere cosa ne pensano delle posizioni prese dai prigionieri baschi. Questo è un chiaro tentativo da parte dello Stato spagnolo di tastare il terreno per verificare se questa proposta può essere estesa ad altri prigionieri politici.
Tutto il movimento basco, nel suo insieme, continua a riaffermare che non rinuncia agli obiettivi d’indipendenza e socialismo, ciò è ripetuto costantemente ma, purtroppo, i fatti hanno la testa dura. Anche perché in Irlanda del Nord non si è ottenuta l'indipendenza con gli “Accordi di pace” e i prigionieri che hanno continuato la lotta sono rimasti in carcere sottoposti a soprusi e angherie di ogni tipo, mentre i prigionieri che hanno riconosciuto l’accordo sono usciti e alcuni di essi sono entrati in posti di rilievo dell'establishment politico nordirlandese.
Stessa sorte potrebbe verificarsi in Spagna con la differenza di trattamento tra i prigionieri disponibili alla trattativa e quelli contrari (“El Pais”, mass media non certo passibile di simpatie rivoluzionarie, riportava che circa 70 prigionieri baschi non avevano sottoscritto l'accordo di Gernika).
Vogliamo anche far presente che, in Italia, questa questione non è nuova. Nella seconda metà degli anni 80 i rivoluzionari prigionieri hanno dovuto sostenere una dura battaglia politica, prima contro la dissociazione, poi contro le ipotesi di “soluzione politica” dei vari Curcio, Gallinari, Scalzone, rivendicando l'attualità del percorso di lotta rivoluzionario e, per questo, sono tuttora rinchiusi in sezioni “speciali” oggi denominate di “Alta Sicurezza”.
Anche per queste ragioni, noi, impegnati a dar voce ai rivoluzionari prigionieri che riaffermano la necessità della lotta per la rivoluzione, pensiamo che iniziative di appoggio al nuovo processo in corso nel Paese Basco, qui in Italia siano di segno opposto alla necessità di rilanciare un movimento di lotta contro il carcere, la repressione e per la difesa dei prigionieri politici. Questo a partire dalla necessità di una lotta contro il trattamento differenziato, in base alla premialità, che vede il carcere diviso in gironi a seconda del comportamento del detenuto con l’applicazione del 41 bis come massimo deterrente.
Con questo scritto ci rivolgiamo soprattutto a quelle situazioni e a quei compagni che in buona fede hanno promosso iniziative sulla questione basca affinché si sviluppi una discussione e un confronto approfonditi in modo da non far passare la strumentalizzazione di chi mira al fatto che “esportare” il dibattito sulle vicende basche rafforzi il modello politico e strategico degli stati borghesi che è quello di riportare dentro alle compatibilità del sistema la lotta di classe, la lotta dei popoli e la lotta rivoluzionaria.
Invece, è del tutto evidente, che gli interessi del proletariato e dei popoli sono inconciliabili con quelli della borghesia imperialista. Se proprio dobbiamo oggi discutere a partire da un esempio attuale…facciamolo a partire da quello dei compagni e proletari greci che assaltano ad Atene il Parlamento e spesso anche le carceri.
Concludendo, auspichiamo che queste brevi e insufficienti righe siano comunque utili al dibattito e siano anche stimolo per approfondire questi temi. Ci rendiamo disponibili al confronto con chi lo ritenesse necessario sempre nell’ottica di sviluppare e migliorare la pratica.
Compagne e Compagni per la Costruzione del Soccorso Rosso in Italia
Febbraio 2012