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Documento compagni militanti PCP-M " Contributo
al dibattito nel movimento di classe" Il modo di produzione capitalistica genera, per sua natura, sfruttamento, crisi e guerre, ma al tempo stesso crea le condizioni per il suo superamento. Qui cerchiamo di leggere la realtà della fase per cogliere in essa i movimenti d'insieme, la portata dell'attacco borghese e le sue conseguenze sulla classe; così come la resistenza che incontra ed i necessari e possibili sviluppi, sia sul fronte della lotta e dell'organizzazione immediate che sul piano della prospettiva rivoluzionaria.
In questa estate 2001 si è manifestata tutta la nefasta forza distruttrice del Capitale finanziario. La dimensione di questa potenza distruttrice ci è data dalla capacità di muovere una massa di ricchezza nominale dieci volte, circa, più grande della ricchezza reale prodotta annualmente sul pianeta. Potenza finanziaria che non è il prodotto di un'autonomia o "capacità del settore finanziario", dei "maghi della finanza" o di una presunta "nuova economia" , bensì del funzionamento proprio del modo di produzione capitalistica. Si è sviluppata cioè nelle sue inerenti leggi di funzionamento, nelle sue storiche contraddizioni, fra cui la tendenza alla crisi da sovrapproduzione di capitale e la caduta tendenziale del saggio di profitto: cioè nell'impossibilità per il capitalismo di espandersi regolarmente ad una scala adeguata alla propria valorizzazione complessiva. Il che si manifesta periodicamente in sovracapacità produttiva, in esacerbazione della concorrenza, in sottoconsumo, ecc. Quando queste contraddizioni si accumulano, investono tutti i settori e le aree mondali, si entra in una crisi di dimensioni generali e storiche, di lunga durata (come l'attuale che, fra alti e bassi, si trascina dagli anni settanta). Ed è qui che la finanziarizzazione diventa una valvola di sfogo, una specie di scappatoia, un terreno di valorizzazione fittizia. E, peggio ancora, di speculazione sulla produzione futura, non ancora realizzata; ingigantendo la spirale creditizia/debitoria, a tutti i livelli, ma in particolare su quello del debito pubblico. Anzi, il debito di Stato è, da sempre, terreno privilegiato per una sistematica opera di taglieggiamento sociale da parte del Capitale.
Oggi, tutto ciò semplicemente si aggrava. Ed è tanto più osceno in quanto richiede e passa per lo sprofondamento di gran parte delle società in una crisi sociale e di dimensioni storiche. La borghesia cerca di determinare nuove condizioni allo sfruttamento per mantenere inalterati o accrescere i profitti ed il potere di controllo classe in generale, e sui lavoratori in particolare. Un solo dato ne dà l'idea: nel 2009, cioè nel picco più acuto della crisi, finora, i 500 maggiori gruppi capitalistici USA hanno realizzato 390 miliardi – dollari in profitti (+335% sul 2008), nel mentre hanno licenziato 761.000 salariati nel mondo! Tendenza che si conferma, e pure nelle previsioni.
L'uso classista ed antioperaio della crisi lo vediamo chiaramente nei provvedimenti di governo, nei patti con i sindacati di regime nella piattaforma degli industriali che, fra le altre cose, esige l'innalzamento dell'età pensionabile fino ai 70 anni e l'aumento delle tasse universitarie. L'insieme di provvedimenti fa parte di quella linea tendente a ridefinire i rapporti tra impresa e lavoratori. Sua finalità è la sterilizzazione del conflitto e l'aumento della produttività, per ridurre il prezzo della forza-lavoro. Vanno in questo senso i contenuti del Contratto nazionale separato dei metalmeccanici del 2010, l'accordo FIAT, l'accordo del 28 giugno fra Confindustria – CGIL – CISL – UIL – UGL, e l'articolo 8 del decreto governativo di Ferragosto. Viene sancito e rafforzato il carattere formale della democrazia borghese, per cui le sue stesse leggi devono stare "fuori dai cancelli". Nel recinto padronale devono valere solo le leggi della produzione capitalistica. In concreto viene data facoltà alle parti (imprese e centrali sindacali) la possibilità di non applicare, modificandole in peggio, la legislazione del lavoro e i contratti nazionali; su materie fondamentali come assunzioni, inquadramento professionale, flessibilità e durata dell'orario di lavoro, sistema di controllo a distanza e licenziamenti.
D'altronde la stessa legge 300 – il famoso Statuto dei Lavoratori – non riguarda la maggioranza delle aziende, né dei salariati trovandosi sotto la soglia discriminante dei 15 dipendenti.
Particolarmente odioso è l'attacco ai salari, a seguire un decennio in cui già l'erosione del loro potere d'acquisto è stato pesante, oltre il 10%. Ad essere colpiti in modo particolare sono i lavoratori del pubblico impiego. Il blocco della loro contrattazione, per i prossimi due anni determinerà una perdita media di oltre 200 € mensili. Attacco sempre motivato dalla spudorata campagna contro i loro presunti privilegi, fra cui quello del "posto fisso".
Altri elementi che vano ad incidere verso la riduzione dei salari sono i processi di precarizzazione. Fra cui l'esternalizzazione di parti del ciclo produttivo, che viene così frammentato nella piccola e media impresa in cui vigono condizioni normative e contrattuali molto più sfavorevoli. Un esempio per tutte sono le Cooperative di facchinaggio, utilizzate nel settore logistico.
E' ancora il massiccio utilizzo della Cassa Integrazione, che decurtò il 30 – 40% del salario. Sono 250 le aziende di grandi e medie dimensioni con procedure di mobilità aperte ed un futuro molto incerto.
Una pressione decisiva, poi, su salari e modalità della prestazione lavorativa viene esercitata dalla dimensione mondiale della produzione. Lo sviluppo industriale nei paesi emergenti si combina al processo di delocalizzazione di consistenti quote di produzioni manifatturiere da parte delle Multinazionali, nel profittare delle più violente condizioni di sfruttamento lì vigenti. Anzi, questo modello di sviluppo mondializzato è il motore dell'attacco per indebolire la resistenza operaia, ovunque. Sotto il ricatto della delocalizzazione, s'impongono condizioni al ribasso. L'apertura di nuovi mercati, sopratutto quelli a est, con la definitiva rottura delle residue barriere crollate con il muro di Berlino, ha creato un'enorme disponibilità di forza lavoro per il mercato mondiale. Sia nella forma delle masse disoccupate, prodotte dalla ristrutturazione ed inglobamento di quelle economie nel circuito mondiale; sia nella forma di nuova mobilità e disponibilità a migrare degli stessi lavoratori occupati. Ciò che ha prodotto letteralmente un raddoppio della forza–lavoro presente sul mercato mondiale (appunto durante gli anni Novanta) e relativa esplosione dell'Esercito Industriale di Riserva (evidente, fra l'altro, nel fenomeno migratorio).
Perciò, proprio la crescita dell'offerta di manodopera proveniente da questi strati più ricattabili, permette al capitalismo di premere verso una generale svalorizzazione della merce forza–lavoro, e verso forme si sfruttamento al limite della schiavitù. Ci sono aziende nel settore agricolo (e non solo) che rinunciano a fare investimenti per la raccolta meccanizzata, talmente è ridotto il costo della manodopera. L'impoverimento generale si vede nella tendenza, sempre più diffusa, ad accettare qualsiasi cosa chiamata "lavoro", in una spirale che trascina al ribasso il proletariato intero.
Nonostante ciò; nonostante la pesantezza dell'offensiva borghese e la debolezza complessiva del proletariato, ed in particolare delle sue espressioni organizzate, la resistenza di classe esiste e si manifesta in forme diverse. Alcune visibili, altre meno, altre ancora completamente oscurate dal sistema mediatico e istituzionale. Certo, molte di queste lotte sono incanalate nell'ambito istituzionale e sotto il controllo dei sindacati di regime. Ma non mancano le situazioni che, per rabbia e determinazione, rispondono degnamente all'offensiva padronale. Lotte che hanno in comune il fatto di rompere con i rituali di mobilitazioni di facciata, inoffensive. Esse praticano un conflitto autentico, giungendo all'uso della legittima forza operaia, rompendo il recinto della legalità borghese che ci vuole con le mani alzate per bastonarci meglio. Un esempio di questo tipo di lotta lo abbiamo dagli operai della FINCANTIERI che, affrontando la polizia in diverse occasioni e compiendo irruzioni e devastazioni nei palazzi del potere, nonché coinvolgendo i cittadini, hanno respinto al mittente il piano di ristrutturazione. Altro esempio ci è stato dato dai lavoratori della GESIP di Palermo, i quali hanno tenuto in scacco l'amministrazione comunale per molte settimane, con una continuità di azioni cittadine – anche qui, blocchi stradali, irruzioni e occupazioni violente – fino a raggiungere il loro obiettivo. Stesso discorso vale per le cooperative di facchinaggio impiegate nella logistica dove, grazie all'ottimo lavoro di organizzazione sindacale di base e alla solidarietà attiva di un'area di militanti "mattinieri", è stata messa in piedi una vertenzialità che è risultata vincente,. e che continua a diffondersi sul territorio fra la miriade di imprese del settore. E questo usando il più classico degli strumenti di lotta, il blocco dei cancelli. Che diventa arma letale rispetto ad aziende che, organizzate secondo il principio del "flusso teso" e quindi prive di magazzino, dipendono interamente dalle scorte delle piattaforme logistiche.
Questi tre fronti di lotta hanno strappato significative vittorie. Sono riusciti a spezzare quel fatalismo oggi ancora così diffuso, esaltando nuove leve operaie nella pratica della lotta e dell'organizzazione. Facendo emergere in modo netto la centralità dell'autoorganizzazione e della determinazione ad affrontare davvero i padroni e i loro sgherri, per toccarli sugli unici argomenti che capiscono: blocco di produzioni e rottura dell'ordine pubblico.
E ancora vogliamo evidenziare lo sciopero dei braccianti dal Salento, che si sono ribellati al lavoro schiavistico e al caporalato. Anche se la loro lotta non è ancora vincente sul piano economico, essa ci dà un'importante indicazione in prospettiva. Innanzitutto è un grande risultato in sé, perché organizzare uno sciopero in quelle condizioni di oppressione è molto difficile; tant'è che si tratta, forse, di un primo caso di una certa dimensione. Poi, anche qui come nella logistica, si è data saldatura con nuclei militanti del territorio, in una dinamica che comincia appunto ad estendersi tutto intorno, a costruire organizzazione in rete.
I lavoratori migranti sono l'ultimo anello della catena dello sfruttamento, perciò costituiscono un importante terreno di lotta e di ricomposizione di classe. Così, come essi vengono usati (per le brutali condizioni) in funzione di "esercito industriale di riserva", per pesare su tutto il corpo proletario tirandolo verso il basso; altrettanto l'azione di classe può incidere contro questo meccanismo, fino a rovesciarlo nel suo contrario: unità internazionalista di classe!
Ciò che dà forza è certamente la determinazione, unita alla consapevolezza di dover contare solo sulle proprie forze, nel praticare il conflitto capitale/lavoro nel suo senso più autentico di antagonismo di classe. Per tutte queste ragioni bisogna anche innestare la dimensione politico – militare sull'insieme dello scontro capitale/lavoro. Perché è chiaro che, soprattutto rispetto all'approfondirsi dei loro metodi terroristico–repressivi, non si può reggere solo sul piano dell'organizzazione primaria. Sono necessari altri metodi e tipi di intervento: bisogna ricostruire forza proletaria armata.
Se guardiamo poi alle lotte di territorio, alcuni di questi aspetti emergono chiaramente. Terzigno, altri Comuni Campani e, soprattutto, la Val di Susa sono un esempio di capacità di mobilitazione e resistenza attiva alla violenza dello Stato e delle sue bande criminali. La capacità di esercitare e riconoscersi in diverse pratiche di lotta è una prova di maturità della coscienza popolare, di una consapevolezza che si diffonde circa l'irriformabilità del sistema. Questo livello di coscienza matura proprio laddove avviene lo scontro fra precisi bisogni sociali ed il sistema borghese, le sue leggi indiscutibili di sviluppo economico e la spartizione di profitti associata.
Dobbiamo guardare con molta attenzione a queste lotte di resistenza, per cogliervi e generalizzare, come in parte è stato fatto, quegli elementi di ricchezza che essi esprimono. Il carattere di certe lotte, per quanto possano essere controllate da forze esterne (istituzionali, borghesi) mette comunque in moto energie di classe. La possibilità che esse assumano carattere di forza autonoma e legata principalmente alla presenza, al suo interno, dell'elemento cosciente. Le condizioni insopportabili, la rabbia e la determinazione possono dar vita a lotte significative. Ma se in esse non matura l'autonomia, esse sono destinate ad essere riassorbite. L'autonomia di un soggetto in lotta è l'elemento caratterizzante di essa. Rappresenta la sua identità, la possibilità di uno sviluppo superiore. Perché l'autonomia consiste in modalità partecipative e decisionali di massa, in obiettivi più aderenti agli interessi proletari, e in una tensione alla ricomposizione e unità della classe. In questo modo ogni lotta può diventare un punto di forza dentro un movimento d'insieme, una base d'appoggio per le lotte future sedimentando una traccia di organizzazione permanente che, pur nella sua informalità, sa orientare il conflitto in una prospettiva di classe.
Questa tendenza positiva deve però fare i conti con il ceto politico sindacale, alla perenne ricerca di legittimare il proprio ruolo di mediatore sociale, al servizio della coesistenza pacifica tra sfruttati e sfruttatori. Opportunismo parolaio, cretinismo parlamentare/elettorale, riformismo, pacifismo, spontaneismo sono tutti ostacoli all'autonomia di classe. Tutte queste tendenze negano il reale processo di organizzazione autonoma della classe, intralciano la tendenza alla costituzione del proletariato come soggetto indipendente ideologicamente ed organizzativamente. Un freno fondamentale alle lotte autonome ed ai processi che da esse si possono generare sta nell'egemonia delle strutture sindacali confederali. Egemonia basata certamente sul piano della partecipazione istituzionale, con le risorse e i mezzi (in parte pure di diretta fonte capitalistica) che permettono loro di elargire servizi e supporto di vario genere, mistificando così il loro ruolo di controllo sociale. Sono i rappresentanti sindacali dentro le imprese a mediare fra condizioni materiali e linea di svendita. Mediazione che avviene fra mille contraddizioni e conflitti. Il conflitto sui luoghi di lavoro continuerà ad esistere, non sarà la titolarità delle centrali sindacali, a stipulare accordi, a togliere alla classe operai la possibilità di agire. Lo ha fatto in pieno regime fascista, quando scioperare e sabotare la produzione significava rischiare deportazione o pena di morte.
Ogni luogo di sfruttamento è luogo di violenza.
L'uso della forza da parte proletaria è pienamente legittimo, contrapponendosi alla violenza vigliacca di un sistema che fa del terrorismo e della repressione i suoi strumenti di gestione dei conflitti e di prevenzione delle insorgenze rivoluzionarie. La violenza capitalistica va combattuta con mezzi adeguati. Mezzi che solo l'organizzazione del proletariato, costituito in classe per sé – e cioè nella sua avanguardia, nel partito – può predisporre. Mentre le espressioni di lotta immediata che si pongono sul terreno della forza, ma solo per dare soluzione a rivendicazioni particolari, costituiscono un terreno di maturazione, cui l'avanguardia organizzata deve sapersi rapportare per darvi prospettiva sul piano politico generale. Autonomia nel conflitto di classe e uso della forza d'avanguardia sono i fondamenti di un percorso di resistenza e ricostruzione delle condizioni necessarie ad affrontare la bestia capitalista.
IL DEBITO SOVRANO: ARMA DI DISTRUZIONE DI MASSA
Chi avrebbe immaginato, solo fin al 2008, che il sistema capitalistico internazionale potesse sprofondare l'economia e le società in una tale spirale catastrofica? Eppure la realtà si sta svelando in tutta la sua semplicità. L'economia drogata con l'esplosione del sistema creditizio e la finanziarizzazione consisteva, in realtà, nel rinviare sempre a domani (così speravano) la resa dei conti. Aggravandola perché significava mangiarsi la ricchezza futura prima ancora di averla prodotta, e spingere a fondo la società in una spirale di indebitamento.
Ricordiamo solo qualche dato:
nel 2010, il PIL mondiale si elevava a 74.000 miliardi-dollari, a fronte di un mercato obbligazionario mondiale di 95.000, di un movimento di Borse a 50.000, e di un mercato dei "derivati" a 466.000.
Gli effetti sono spaventosi socialmente. Prima, cioè nei 3 decenni di questa crisi storica, la società pure è stata drogata massicciamente, approfondendo la perversione consumistica e creditizia (e a dilatare i fenomeni di disgregazione proletaria, desolidarizzazione e individualismo). Poi, portandola alla rovina, nel momento in cui il sistema non può più alimentare i rubinetti di questa "prosperità" artificiosa: masse di proletari illusi, irretiti a diventare piccoli proprietari, si ritrovano per strada, nelle nuove baraccopoli.
E la cosa più oscena avviene con i debiti sovrani, con il debito degli Stati. Il Capitale Finanziario – cioè, nella definizione leninista, la fusione di capitale industriale e capitale bancario nei grandi monopoli/oligopoli, strato dominante e trainante di tutta l'economia e proiettato sulla dimensione imperialista mondiale – non solo ha modellato le politiche economiche dai lontani anni Ottanta, imponendo a salti successivi la sua feroce rapina sociale (pretenziosamente chiamata "politiche neo-liberiste") ma ora, scoppiatagli la situazione fra le mani, ha imposto un salvataggio pubblico di sé stesso e dei profitti, di dimensioni storiche mai viste. Secondo il grande principio dell'economia borghese, "Privatizzare i profitti, socializzare le perdite"! Infatti la stessa pretesa ideologica neo-liberista sulla riduzione dell'intervento dello Stato e della fiscalità è una leggenda che maschera semplicemente lo spostamento di fiscalità e spesa pubblica sempre più a favore del Capitale e degli strati borghesi, sempre più a supporto delle loro esigenze economiche e politiche. Comprese, in primo luogo, quelle dell'espansione imperialista (spese militari e spedizioni di aggressione e conquista). Tant'è che ora, è proprio il Capitale Finanziario che fa esplodere il debito pubblico e che, sfacciatamente, vuol farne portare il peso al proletariato, a tutta la popolazione lavoratrice.
Ciò che significa un nuovo salto di qualità nella rapina sociale: lavorare di più, per salari inferiori! Un salto di proporzioni pesanti e generalizzato in tutti i paesi. Agendo sulle due ali: sfruttamento del lavoro (salario diretto e produttività) e taglio dei servizi sociali (salario differito e tasse). Così oggi il nodo dello scontro è diventato il debito statale: la tendenza a convergere, ad unirsi, a fare fronte comune da parte di vari settori proletari e popolari è assolutamente importante, da sviluppare. In questo modo si sono dati quei forti momenti di aggregazione e lotta, che stanno tenendo testa all'aggressione di Stato e Capitale. Grecia in prima fila, ma anche lo scorso autunno francese, le rivolte studentesche e dei quartieri in Gran Bretagna; e poi Spagna, Romania, e altri paesi dell'Est . . .
Comincia a farsi strada qualche idea-obiettivo più audace: rifiutare il debito, boicottare il pagamento! Che poi è pagamento di "pizzo" ai criminali del capitale finanziario internazionale (mascherato dietro il termine neutro "i mercati"). Idea sicuramente un po' velleitaria, ma che ha il pregio di rendere chiaro il gioco e lo schieramento di interessi. Nonché di avere una sua concretezza e praticabilità: il rifiuto del debito è stato messo in pratica da alcuni paesi dipendenti dall'imperialismo (in situazione di semplice strangolamento), ma anche da paesi più avanzati come l'Argentina durante la crisi del 2000/01. Ovviamente sull'onda di un movimento di rivolta popolare quasi insurrezionale e di grande continuità nel tempo. I risultati furono notevoli, riuscendo il Paese a scrollarsi di dosso parte del giogo del capitale finanziario e delle sue istituzioni (FMA, BM, . . .). Certo, contano vari fattori ed il diverso posizionamento dei vari paesi rispetto alla piramide imperialista, però non si può non considerare che questa parola d'ordine viene sempre più avanzata dai movimenti di massa e nelle situazioni più drammatiche, come la Grecia, si è imposta come il terreno principale e unificante.
Indicativo cosa ne dicono i compagni greci di "Lotta Rivoluzionaria": "Il debito che un Paese non può rimborsare è un'opportunità per l'elite economica tramite il FMI, di mettere questo Paese in ginocchio, di annientarlo, di conquistarlo. Dopo averlo dissanguato facendo profitti e ancor più, l'hanno portato al fallimento e ora gli avvoltoi del capitale gli saltano addosso, razziando per un tozzo di pane tutto ciò che ha valore a trasformando il Paese in un paradiso per lo sfruttamento capitalistico della classe operaia alla quale impongono condizioni di lavoro più disumane! E' questo il piano del FMI per la Grecia! Un piano che conduce rapidamente alla super-concentrazione del potere economico e sociale nelle mani di un ancor più ristretto pugno di potenti, ed il popolo alla miseria più totale.
Se lasciamo i criminali del regime politico di questo Paese proseguire nello loro politiche, noi ci saremo arresi dinanzi alla forma più vergognosa di schiavitù che sia mai esistita; noi avremo consegnato il Paese ed il futuro dei nostri figli agli squali del grande capitale; noi avremo accettato di vivere sotto il terrorismo permanente dell'oligarchia economica e politica internazionale.
Nessun uomo libero può accettare un tale trattamento, nessun uomo degno può arrendersi senza resistere".
(documento rivendicazione attacchi a City Bank)
L'altra ala dell'offensiva capitalistica dimostra anch'essa non solo la ferocia mostruosa del sistema, ma pure la sua insensatezza, irrazionalità antisociale: il prendere a riferimento economico-sociale i salari e tassi di sfruttamento cinesi e tricontinentali, schiacciando le varie classi operaie verso quei livelli tendenziali. Mentre il Capitale oppone la massiccia resistenza a rialzare minimamente lo zoccolo salariale nelle fabbriche–lager tricontinentali – fra i 50/150 € mensili, per orari di 60/80 ore settimanali – ha avviato una retrocessione senza precedenti, nelle aree avanzate (in USA si è arrivati a tagliare di metà i salari dei nuovi assunti in settori centrali, come l'Auto, a fronte di una vigorosa ripresa dei profitti).
È anche su questo terreno la lotta di classe divampa, arrivando, fra l'altro, ad originare le rivolte arabe. Che sono il culmine di lunghe serie di scioperi e lotte operaie, già da qualche anno, contro questi effetti della crisi e contro la repressione.
ORGANIZZARE I TERMINI POLITICO – MILITARI
DELLA PROSPETTIVA RIVOLUZIONARIA
Ovunque il nodo politico, di fondo, è lo stesso: riuscire a porsi a livello dell'attacco capitalistico. Come questo agisce dispiegando tutti i suoi strumenti di potere – economico, politico, militare – pure attorno a situazioni specifiche (FIAT, Rosarno e CIE, territori in resistenza, . . .), il proletariato non può non porsi il problema di organizzarsi e di dotarsi dei vari mezzi necessari.
È un problema d'insieme. È necessaria sia la maturazione di coscienza dell'esigenza rivoluzionaria di un'alternativa di sistema, sia la crescita della soggettività rivoluzionaria, sulla elaborazione/definizione di un programma, di una strategia e dell'armamento politico-militare per concretizzarli; il tutto nello sviluppo di un processo politico-organizzativo alimentato dalla dialettica interna alla classe, fra le sue espressioni di resistenza/autoorganizzazione ed i suddetti termini politico-militari di partito, atti a sviluppare lo scontro sul piano politico generale. Cioè, bisogna riuscire a sviluppare i tanti elementi necessari all'avvio di un processo rivoluzionario. Processo rivoluzionario che si presenta come l'unica alternativa possibile, unico sbocco positivo alla catastrofe capitalistica. A condizione però di saper considerare, rielaborare e superare gli errori ed i limiti su cui le rivoluzioni del XX° secolo si sono arenate e degenerate.
A condizione cioè che l'organizzazione che si andrà a costruire sappia alimentarsi costantemente di un vivo dibattito e di una ricerca di soluzioni e avanzamenti, per non ripetere gli errori del passato e, invece, per sviluppare la rivoluzione. In questo senso intendiamo la definizione della base ideologica e del programma comunista. Come sostanza viva e dinamica dentro i processi reali; acquisizioni storiche e teoriche da riverificare costantemente nella prassi dei nuovi tentativi; dialettica tra finalità della trasformazione sociale e percorso concreto per realizzarla. E da intendersi in quanto pilastri della costruzione in forza politico-militare.
Alla luce degli avvenimenti attuali, costruzione ancor più necessaria ed urgente. Se vogliamo affrontare la terribile macchina da guerra sociale dell'imperialismo, dobbiamo disporci su questo terreno dove politica e guerra sono inscindibili. Citiamo ancora "Lotta Rivoluzionaria": "il nostro tempo sembra molto interessante ed offre possibilità uniche a chi voglia battersi. La crisi in corso conduce alla disintegrazione della relazione fra il Capitale e la Società; le elites si trovano di fronte a maggioranze sociali. Il fossato fra regimi autoritari e le masse subalterne si allarga. È l'occasione per un movimento rivoluzionario di ostacolare le nuove forme di trattativa fra la società e l'autorità, di lottare contro ogni manipolazione della rabbia sociale e di definire i tempi e l'orientamento sociale del rovesciamento del sistema. (. . .) A coloro che pretendono che le condizioni non siano ancora mature per ingaggiare un percorso rivoluzionario, di cui la lotta armata è parte integrante, noi rispondiamo che le condizioni oggettive, quali definite dall'analisi del sistema e della fase in corso, non sono mai state così buone" (doc. citato)
Cominciando anche dal contrasto al super-sfruttamento, al nuovo schiavismo, innestando sulla resistenza proletaria l'esercizio di forza organizzata e armata. Proprio come negli anni Settanta, l'attacco alla gerarchia dispotica nelle fabbriche fu il terreno di affermazione e crescita della lotta armata. E così come nelle fasi iniziali delle Guerre Popolari nel Tricontinente.
Oggi la condizione salariale – dalla vasta massa del precariato al lavoro nero, dal lavoro degli immigrati fino ai settori centrali della classe – è ampiamente regolata dal ricatto e dal terrorismo, padronale e statale. Processo sociale che non fa che approfondirsi, aggravarsi; perciò la costruzione della forza proletaria, nei termini politico-militari, può trovare qui una sua applicazione utile e necessaria.
Certo, finalizzandola fin da subito al piano generale e centralizzato dello scontro. Perché tale è ormai da tempo, e oggi ancor più, la dimensione che determina tutto il movimento economico e sociale. Tant'è che in questo sprofondamento di crisi è emersa prepotentemente la dittatura reale dei ristretti circoli del Capitale Finanziario ("i mercati"), e al suo seguito il ruolo esecutivo degli organismi sovranazionali (BCE, UE, FME, BM, . . .). Che dettano, vincolano, sorvegliano le decisioni dei governi. Insomma bisogna porsi, necessariamente, sul piano politico generale, del rapporto di forza complessivo fra proletariato e borghesia. Ciò che è possibile solo nella sua forma politico-militare. L'uso delle armi come modo preciso, storicamente determinato e necessario, di essere della politica rivoluzionaria, del partito proletario. La lotta armata di partito in quanto modo preciso e incisivo di intervenire nel vivo dello scontro e della crisi in corso; in quanto modo di costruire da subito l'organizzazione e il suo rapporto con la classe. Come strumento essenziale, infine, per poter porre concretamente e coerentemente la prospettiva di potere, la possibilità dell'alternativa sociale che solamente potrà farsi strada nel processo di demolizione del modo di produzione capitalista e del dominio imperialista.
SVILUPPANDO LA RESISTENZA PROLETARIA
COSTRUIRE LO SBOCCO RICOLUZIONARIO
ALLA CRISI STORICA DEL CAPITALISMO !
COSTRUIRNE I TERMINI POLITICO-MILITARI NECESSARI !
CONTRO LA CRISI E L'IMPERIALISMO
GUERRA DI CLASSE PER IL COMUNISMO !
DAVANZO Alfredo
SISI Vincenzo militanti per il PCP-M
Siano, ottobre 2011