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Vogliono sterminare il PCE(r) anche fisicamente
Emessa sentenza fascista contro Juan Garcia Martin
Siamo abituati ai processi farsa contro militanti del MLNV, del PCE(r) o dei GRAPO (la dissidenza va aumentando e la repressione dilaga) ma questa sentenza è il primo nuovo passo verso l'ergastolo nei confronti di militanti politici che non praticano la lotta armata. Juan Garcia Martin è stato infatti condannato a 80 anni di carcere grazie alla testimonianza di una ?testimone protetta?, che "forse? lo ha riconosciuto.
LETTERA DI UN ERGASTOLANO DA UN PAESE DOVE L'ERGASTOLO .. NON ESISTE
Il 6 febbraio 2006, alle ore 21, i GRAPO hanno realizzato un'azione per reperire fondi attraverso la persona di due impresari di Saragozza che possedevano varie imprese per il lavoro interinale. A conseguenza dell'azione l'impresaria è morta e suo marito è stato ferito.
Quel giorno e a quell'ora io mi trovavo in casa mia a Reus (Tarragona), insieme alla mia compagna Carmen Cayetano e ad Arantza Diaz: tutti e tre facevano parte del ?Comitato Interno" clandestino del PCE(r), del quale io ero il responsabile. La nostra attività consisteva nel fare propaganda (redazione, stampa e distribuzione della rivista Resistencia) e nell'organizzare tutti i lavoratori dello Stato spagnolo, oltre a centralizzare le diverse sezioni del Partito. Per questi "delitti" siamo già stati condannati a 11 anni di prigione.
Chiamo l'attenzione sulla natura delle nostre attività, che ci costringevano a frequenti viaggi per incontrare militanti e simpatizzanti del Partito che, nella maggior parte dei casi, erano noti alla polizia per cui dovevamo muoverci con estrema cautela, attivando tutte le misure necessarie per evitare arresti e conseguenze nefaste sul Partito e la sua direzione, con la quale io ero incaricato di mantenere i contatti.
Tornando all'azione dei GRAPO a Saragozza, attorno al 10 febbraio su tutti i mezzi di comunicazione borghesi uscì la mia foto e quella del compagno Israel Torralba: venivamo indicati come autori di detta azione, cosa che si è andata ripetendo, ma solo per la mia persona, ogni volta che i GRAPO mettevano in atto un'azione, e questo sino a quando non sono stato arrestato a Reus nel giugno dello stesso anno.
Sin dall'inizio le pressione della Direzione Generale era diretta a farmi confessare di aver partecipato ai fatti di Saragozza, mentre la mia compagna veniva torturata affinché mi implicasse in quella azione. Ovviamente abbiamo negato e alla fine i torturatori hanno confermato che la nostra attività era incompatibile con quei fatti. La nostra attività di partito non ci avrebbe dato la possibilità di partecipare alla preparazione e all'esecuzione di un'azione così complessa come quella di Saragozza. La Guardia Civile giunse a dirmi che effettivamente non potevo aver partecipato a tale azione e ciò venne confermato anche durante il processo: né il sottoscritto né Torralba eravamo implicati nell'azione.
Da quel momento in poi, sono stato trasferito varie volte da Puerto I, carcere in cui mi trovo, a Madrid per farmi partecipare a confronti diretti, cui ho partecipato senza problemi, visto che ero certo di non aver partecipato ai fatti e, di conseguenza, era impossibile essere riconosciuto. Per sei volte, non sono mai stato riconosciuto da nessuno. Nell'ultima, tuttavia, una supposta testimone disse di essere certa, ma all'80%, di potermi riconoscere.
Da quel momento, polizia e ministro della giustizia socialista hanno deciso di "costruire l'imputazione", nonostante i compagni dei GRAPO avessero più volte dichiarato la mia estraneità ai fatti, riconosciuta persino dai torturatori della G.C. Per i giudici e la polizia era evidente che dovevo essere condannato grazie alla "testimonianza" di quella persona e quindi ogni ulteriore investigazione era superflua.
Nonostante sapessi di essere già condannato a priori, ho deciso insieme ai miei avvocati di partecipare al processo usando tutte le leggi che lo stato borghese mette a disposizione. Contavamo, inoltre di avere la possibilità di appellarci alle istanze internazionali per denunciare e mettere in evidenza le invenzioni che è capace di mettere in atto il sistema giuridico spagnolo e le violazioni a ogni principio giuridico (presunzione di innocenza, prove, ecc.) sulle quali dovrebbe basarsi una condanna.
Durante il processo ho ripetuto la mia estraneità ai fatti. Si è spiegata l'incompatibilità materiale di fare lavoro politico e partecipare ad azioni armate. Si presentarono persino dei testimoni che confermarono che quel giorno mi trovavo a Reus. I compagni dei GRAPO spiegarono l'azione con dovizia di particolari, mettendo in chiaro che non potevo aver partecipato all'azione. Vennero interrogati testimoni oculari dei fatti, che negarono la mia presenza. Nulla ha confermato la mia presenza a Saragozza, né impronte digitali, né armi, né video). Il tribunale rifiutò la presenza della guardia civile, nonostante fossero proprio loro che mi avevano arrestato a Reus.
Il procuratore, come unica prova, ha presentato la sentenza del Supremo che dice che "PCE(r) e GRAPO sono la stessa cosa" e la supposta "testimone protetta" che mi avrebbe visto fugacemente e che mi ha descritto non come sono ma come mi avevano descritto i giornali.
Nel novembre del 2009 è arrivata la sentenza: 80 anni di galera!! Cosa abbia fatto il Tribunale nei sei mesi precedenti è un mistero, visto che è sufficiente dare una occhiata alla sentenza per rendersi conto che ci si è limitati a trascrivere e a dare per buono quanto detto dal procuratore, ovvero il fatto che la testimone protetta abbia avuto la convinzione morale di avermi riconosciuto all' 80% (casi del genere, ovvero condanne senza prove, si erano già verificati in Spagna).
Nella sentenza si elude tutto ciò che potrebbe essere a mio discarico e persino sono letteralmente "scomparsi" tutti gli interventi della difesa.
C'è poi una seconda parte tragicomica di questa farsa processuale. Dopo la condanna, restava aperta la possibilità di appello ad istanze superiore (Supremo, Costituzionale, Europeo) dove almeno avremmo potuto denunciare la mancanza di garanzie del sistema giuridico spagnolo. Ma quando i miei avvocati sono andati a presentare il ricorso al Tribunale Supremo, sorprendentemente si sono trovati di fronte all'impossibilità di farlo perché... erano scaduti i termini per la presentazione a causa di malintesi burocratici (sic!!!) peraltro a tutt'oggi ancora non chiariti tra tribunale-procuratore-avvocati.
Insomma, eccomi qui, condannato definitivamente all'ergastolo di fatto (dovrei uscire di galera nel 2046, a 104 anni, visto che ne ho 58), senza una legge che mi tuteli e per fatti che non ho commesso.
In verità, ero cosciente che il regime non mi avrebbe consentito di uscire di galera visto che sono rimasto fermo nelle mie convinzioni e idee rivoluzionarie, portate avanti in 40 anni di militanza comunista; del resto, lo stesso "trattamento" viene riservato ai miei compagni. Lo Stato, inoltre, non mi ha mai perdonato che, dopo aver passato 20 anni in galera, dal 1978 al 1998, mi sia incorporato nuovamente nel lavoro clandestino del mio Partito.
Devo tuttavia confessare che i maneggi di questo regime e del suo sistema giuridico che rende legale una repressione sfrenata contro un pugno di comunisti non cessano di sorprendermi: lo abbiamo anche visto nella condanna "per omissione" (!!!) nei confronti del nostro Segretario generale Manuel Perez Martinez e, nel mio caso, addebitandomi fatti non realizzati e una militanza che non mi appartiene. Franco può essere orgoglioso dei suoi eredi!
E' indubbio che l'ergastolo, e per di più ingiusto, è certamente una mazzata tanto per quanto per la mia famiglia che, tra l'altro, non ha neppure il supporto ideologico che la potrebbe aiutare a sopportare meglio questa situazione.
Tuttavia, contemporaneamente, questa brutale sentenza segna il mio futuro politico: oramai non ho più nulla da perdere, salvo le mie catene; e questo mi lega ancora di più con chi nulla possiede, con gli sfruttati, con chi non vede vie di uscita, con i ribelli... Ora sono più che mai cosciente che, se ho un futuro, questo non è in mano dei miei nemici di classe, ma in quelle del Movimento Operaio Internazionale nel quale nutro la massima fiducia poiché è l'unico in grado di vanificare i neri disegni fascisti.
Una sola cosa, comunque, non potrà mai essermi tolta: la mia dignità di rivoluzionario che non si è pentito, le mie idee e la mia resistenza ed esperienza comuniste che continuano ad essere a disposizione di detto movimento, confidando che - per quanto possa oggi essere disorientato, disorganizzato, prostrato -, non tarderà molto a recuperare la propria forza, come ha detto più volte il PCE(r) e nonostante le difficoltà della situazione. Le condizioni si daranno e sono ogni giorno più favorevoli. La crisi economica lascia gli operai "senza nulla da perdere", la crisi politica dello Stato lascia senza spazio le illusioni riformiste e la crescente repressione - di cui il nostro Partito non è altro che un assaggio - lascia spazio alla lotta radicale contro il regime.
Non ho nulla di cui pentirmi se non, forse, vista la mia condanna all'ergastolo per avere fatto lavoro politico "non violento", di non aver dato davvero una mano ai compagni dei GRAPO nell'azione di Saragozza.
Penso che oggi tutti i lavoratori, tutti coloro che resistono, debbano pentirsi solo se non difendono con le unghie e con i denti il loro posto di lavoro e il pane per i loro figli, se non danno un calcio alle mafie sindacali e ai politici, se non usano l'unità, l'organizzazione e la forza di classe per lottare con decisione contro questo putrefatto regime di sfruttamento, oppressione e aggressione. Su questo terreno dell'organizzazione e della lotta rivoluzionaria ci incontreremo e, ne sono certo, i prigionieri politici ricupereranno la libertà.
Febbraio 2010, dal carcere di Puerto I (Cadice, Spagna)